Disabile, il Tar dice sì alle cure da Pavia all’estero
Asl obbligata a rimborsare la riabilitazione con il metodo Adeli a un bambino. I giudici: «In Italia non ci sono centri»
PAVIA. Ogni volta che indossa la tuta si compie un piccolo miracolo, perché quel vestito che lo fa assomigliare a un astronauta lo aiuta anche a camminare e a muoversi meglio. Eppure il bambino, per accedere ai cicli di terapia, ha dovuto rivolgersi ai giudici. La riabilitazione con il metodo Adeli, che viene praticata solo all’estero, non è infatti riconosciuta come prestazione rimborsabile, e l’Asl di Pavia si è quindi rifiutata di pagare le spese.
La famiglia non si è arresa e davanti al Tar, che ha esaminato il ricorso, ha avuto ragione. «La possibilità di ottenere assistenza sanitaria all’estero, con il relativo rimborso delle spese sostenute, costituisce un diritto del richiedente – si legge nella sentenza – laddove non esiste la possibilità per il paziente di ottenere in modo tempestivo ed adeguato presso strutture nazionali le prestazioni praticate all’estero».
Nel caso specifico la prestazione per il bambino, che ha otto anni e una grave disabilità con problemi di deambulazione, riguarda la riabilitazione con il metodo Adeli, detto anche della “tuta spaziale” per il particolare dispositivo che viene fatto indossare ai pazienti. La tuta, realizzata sulle conoscenze della medicina spaziale (è lo stesso dispositivo che permette agli astronauti di mantenere l’attività muscolare in assenza di gravità), consente di aiutare il cervello a riconoscere i corretti movimenti muscolari. Si applica a pazienti che sono affetti da paralisi cerebrale o altri deficit neurologici.
In Italia se ne sta discutendo e ci sono centri che si stanno attrezzando per fornire questo tipo di riabilitazione, ma attualmente la struttura di riferimento si trova in Slovacchia, nella città di Piestany. A questo centro si rivolgono molte famiglie in cerca di cure efficaci, e tra queste anche la famiglia di Pavia. I genitori del bambino, in questo percorso giudiziario affiancati dall’avvocato Giovanni Spadea di Milano, si sono rivolti al Tar dopo la decisione dell’Asl di Pavia di non rimborsare le spese sostenute per le cure.
Il rifiuto ad accedere alle terapie c’era già stato, in realtà, nel 2009 e la famiglia, per due cicli di riabilitazione, aveva già ottenuto ragione. I genitori del minore, basandosi su quel provvedimento dei giudici, a settembre del 2015 hanno chiesto il rimborso di un altro ciclo di riabilitazione, della durata di due settimane. Ma il rimborso è stato ancora negato dall’Asl di Pavia, che a sua volta ha basato il suo “no” sul parere negativo di un istituto neurologico del nord Italia, che aveva esaminato il caso. A dicembre è scattato così il nuovo ricorso.
Secondo gli avvocati della famiglia del bambino, «il diniego dell’Asl è illegittimo» per diverse ragioni. Anzitutto, l’Asl avrebbe ammesso la mancanza di strutture in Italia in grado di erogare la prestazione né avrebbe fornito valutazioni sugli eventuali tempi di attesa nel caso in cui si fosse invece trovato un centro in grado di praticare la terapia.
L’Asl, dal canto suo, aveva negato il rimborso per le cure all’estero, e ha ribadito questo principio durante il contenzioso legale, «perché si ritiene non vi siano elementi scientifici di evidenza clinica che dimostrino la maggior efficacia del metodo Adeli rispetto a quelli riabilitativi riconosciuti ed erogati». In altre parole, secondo gli avvocati dell’Asl, il diritto a particolari terapie verrebbe meno se non ci sono prove che quella terapia funzioni davvero.
I giudici del Tar, per prendere una decisione, hanno invece fatto riferimento a un decreto ministeriale che autorizza l’erogazione di prestazioni «di diagnosi, cura e riabilitazione che richiedono specifiche professionalità del personale o attrezzatura ad avanzata tecnologia e che non sono ottenibili in maniera tempestiva o adeguata presso i presidi di specialità italiani».
Poiché, quindi, in Italia quel metodo non è praticato, la famiglia si deve rivolgere per forza all’estero e quindi ha diritto a ottenere il rimborso della terapia. «Ne consegue che l’autorizzazione per assistenza sanitaria che non possa essere prestata tempestivamente e in maniera adeguata in Italia – si legge nelle motivazioni della sentenza dei giudici – possa
“” frameborder=”0″ marginwidth=”0″ marginheight=”0″ scrolling=”no” style=”border: 0px currentColor; border-image: none; vertical-align: bottom;” essere negata solo se sussistono rischi per la salute del paziente». I giudici hanno così obbligato l’Asl a rimborsare le spese per la riabilitazione, condannando anche l’ente a pagare 1.500 euro di spese di giudizio.
Maria Fiore